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Grugliasco: il dolore e la solitudine ai tempi del coronavirus. Chi ci pensa?

La voce dei parenti degli ospiti di Casa San Giuseppe, mentre chiedevano di sapere che cosa succedesse là dentro e segnalavano la colpevole minimizzazione da parte delle autorità a cui si erano rivolti prima che a noi, aveva il tono di chi viveva un dolore sconosciuto, quello di chi immaginava c cosa dovesse provare la persona cara nel trovarsi sola in un momento di difficoltà o addirittura nel momento della morte. Oramai è un pensiero diffuso.
Il dolore che si aggiunge al dolore. Parenti o amici ricoverati in terapia intensiva o degenti in RSA. Lontani dai loro affetti. Ed anche i parenti che non possono più dare e ricevere un sorriso, una carezza almeno immaginaria. Degenti in RSA, e non solo, che non hanno più avuto comunicazioni con i parenti all’esterno. L’abbiamo visto a Grugliasco, ma lo si vede diffusamente in Italia.  E poi - per tanti - i funerali. Figli e coniugi nel migliore dei casi possono vedere da lontano il defunto, sennò neanche questo. Il funerale, in pratica, non esiste.
Probabilmente si è trattato di scelte giuste, necessarie. Noi disprezziamo quelli che sono sempre bravi “a posteriori”, soprattutto in situazioni come questa, ma forse qualcosa di meglio si sarebbe potuto e si potrebbe fare.
Forse è vero che al momento non ci sia rimedio. Ma non possiamo semplicemente continuare a raccontarcelo tra di noi. E' vero, mancano, ancora, dispositivi di protezione individuale: mascherine filtranti, camici monouso, guanti, calzari monouso, non sarebbe giusto sottrarli a chi li deve usare per curare, in Ospedale, nelle RSA, e tutto dove serve. Probabilmente è vero che i reparti di terapia intensiva oggi sono un luogo ancora più “difficile”, dove gli accessi di estranei sono ancora più critici. Solo non sono estranei, sono parenti.
I pareri di amici più o meno competenti o le interviste ad esperti, talvolta autonominatisi tali, non possono bastare a rasserenare chi oggi soffre, anzi, rischiano di fare ancora più male. Occorre che il governo – oltre alle centinaia di altre cose avviate - incarichi professionisti esperti per affrontare il problema della solitudine dei morenti ai tempi del Covid e quello della mancanza di un vero estremo saluto. Per studiarlo e trovare soluzioni, magari anche solo parziali.
Sono certo che qualcosa si possa fare. A Torino abbiamo chi - quando una decina di anni fa ancora nessuno ne parlava - coraggiosamente ha realizzato la terapia intensiva aperta 22 ore su 24. Non manca la volontà e non manca la capacità. E’ anche possibile che per adesso non si riescano a trovare soluzioni. Ma sapere che ci si è pensato per il futuro, può forse aiutare a rasserenare. Se “dall’alto” ci spiegheranno i problemi e i limiti, ci diranno quali le ipotesi per il futuro, forse questo servirà ad aiutare a lenire il dolore di adesso.
Anche per questo occorre che l’informazione non sia delegata alla Protezione Civile. Molti dei bisogni degli italiani non stanno dentro l’emergenza, ma sono causati dall’emergenza. Occorre che la Politica se ne occupi direttamente e deleghi persone che abbiano dimestichezza con questi temi.
Carlo Proietti

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