Rientro a scuola a settembre: siamo pronti? Criteri e parametri per fare al meglio
"Dimezziamo gli studenti per classe! Sì, con i doppi turni! No, alternando frequenza e insegnamento on-line. Piuttosto mettiamo il plexiglas! Misuriamo la febbre all’ingresso. Entrate e uscite scaglionate! Già, e gli intervalli!? Riduciamo la durata delle ore di lezione. Si devono aprire le finestre! Tutti con le mascherine! Basta disinfettare 3 volte al giorno!", e via dicendo. In questa fase di riduzione dell’epidemia di Covid19 la riapertura delle scuole è sicuramente uno degli aspetti di maggiore interesse, sia perché coinvolge 9,5 milioni di persone e le loro famiglie, sia perché Ministero e Governo tergiversano un po’ troppo. Nella nostra città non se ne parla, forse per l'attesa di provvedimenti governativi, forse per evitare altre figuracce. A settembre manca poco, non vorremmo che anche i Comuni (per le materne, le elementari e le medie) e le Città Metropolitane/Province (per le superiori) si svegliassero ora di aprire facendosi trovare impreparati, aumentando il danno della mancata frequenza di questi mesi con appendici autunnali.
E’ sicuramente una questione complessa, ma se il Ministero dell'istruzione ed il Governo non stanno facendo una bella figura, i cori delle famiglie che si lamentano e con il controcanto dei "vecchi professori" che pensano di risolvere tutto con citazioni latine, non sono di grande aiuto. Tutti intuiscono che le soluzioni devono differenziarsi per i vari cicli di istruzione. Ma tutti vogliono lo stesso che governo scriva le “regole”, secondo il vecchio vizio italiano per cui tocca allo Stato scrivere le regole e poi tocca sempre allo Stato dimostrare che non le stiamo rispettando.
La cosa buffa è che questo approccio piace anche a molti "europeisti convinti" che sembrano ignorare che l'UE da oltre 25 anni chiede a ciascuno di definire le sue regole, per la sua situazione locale, sulla base di principi e criteri, questi sì definiti dallo Stato. Si chiama responsabilità.
E’ anche chiaro che alcune scelte “macro” non possono che essere fatte d’intesa dal Governo e dalla Conferenza delle Regioni. Se si intende ridurre la dimensione delle classi ed assumere personale, la scelta non può che essere statale. Però, se si vuole adottare la didattica a distanza come strumento ordinario, alcuni requisiti non possono che essere definiti in modo unitario, centralmente, con tutte le consultazioni del caso. La riduzione della durata delle ore di lezione non può essere lasciata alle singola scuola, senza che a monte sia definito un “recinto” entro cui ogni istituto può muoversi.
Si capisce perciò che il mix di misure da adottare, la “strategia”, se si vuole essere efficaci, non può che essere definito localmente sulla base di una valutazione dei rischi che consideri le caratteristiche locali.
Quali? Senza fare liste esaustive, possiamo ragionare su alcuni aspetti di cui probabilmente tutti abbiamo già sentito parlare.
Caratteristiche degli edifici scolastici. Influiscono sugli “addensamenti di persone”. Quante entrate ha la scuola? Ci sono degli atri? Piccoli? Ampi? Quante scale di accesso? Sono larghe o sono strette? I corridoi sono ampi o sono stretti? E’ possibile avere una supervisione di questi spazi? I servizi igienici come sono disposti? Sono abbondanti o sono scarsi? Com’è la dotazione di finestre apribili negli ambienti comuni?
Aule. Al netto degli arredi per le aule scolastiche la normativa del 1975 ha previsto 1,80 mq/ alunno nelle scuole materne, elementari, medie e 1,96 mq / alunno nelle scuole superiori. Ma la vestustà della norma non giustifica ottimismo. Molte scuole sono vecchie, altre proprio antiche. Ed anche recentemente, amministrazioni burlone, hanno pensato di fare “scuole a norma”, accorpando plessi e affastellando allievi. Giuste giuste, “al pelo” con gli standard minimi. Questo tanto per ricordare il contrasto tra “norme comunitarie” e “Europa Unita”, una nostra scuola costata 8 anni di attesa, 6 milioni di spesa, per essere piccola e affollata!
In un’aula ampia riusciamo a piazzare 12 – 14 studenti. Questo se vogliamo fare come i tanto decantati Paesi nordici. Quindi o aumentiamo almeno del 75% in numero delle classi e dei docenti, oppure abbiamo un problema.
Mascherine. Le mascherine chirurgiche possono, insieme ad altre misure, essere una soluzione. Tutti i cori che narrano di disturbi e rischi per la salute, sono spazzatura. L’uso di mascherine è una pratica ben studiata da decenni, ma proprio per questo sappiamo che le mascherine, pur non essendo dei DPI, sono soggette alle medesime criticità. L’uso è affidato all’attenzione individuale, l’efficacia è subordinata al corretto uso e di nuovo a variabili individuali. Le mascherine danno fastidio.
Insomma sono una misura di protezione fragile, come ben descrive la medicina occupazionale. Per periodi relativamente brevi è possibile ottenere una buona adesione da parte degli utilizzatori, sempre che si mettano in atto interventi motivazionali. Ed è probabile che si possano ottenere risultati migliori nelle elementari che non nei gradi successivi. Comunque sia, si pongono problemi organizzativi non di poco conto. Come si interviene per studenti che arrivano a scuola privi di mascherina? Con poche eccezioni si tratta di minorenni, che non possono essere allontanati se non ci sono i genitori a tiro. Occorre accoglierli e sorvegliarli, in un contesto critico (non hanno la mascherina). Oppure occorre fornire loro la mascherina ...
Studenti. Gli studenti differiscono fra loro per molti aspetti, non solo per l’età. Possiamo avere studenti con differente rischio individuale e famigliare di contagio e malattia grave. Per esempio è possibile che in un istituto professionale i rischi siano maggiori che non in un liceo classico (o se preferite in una scuola di periferia rispetto ad una scuola delle “zone bene” della città). I genitori possono fare lavori a rischio (OSS, badante, autista, ecc.) e/o possono vivere in appartamenti spazi ristretti.
Se poi ci sono studenti soggetti a pendolarismo, si aggiunge un altro possibile fattore di rischio, considerato che l’accesso a scuola non avviene a piedi, in bici o accompagnati dai genitori.
In generale i ragazzi hanno un basso rischio di manifestare malattia in forma grave. Ma i ragazzi sono veicolo di trasmissione del virus verso le loro famiglie; questo problema rischia di essere tanto più grave quanto maggiore è l’età dei conviventi o quanto peggiori sono le condizioni socio economiche delle famiglie, per condizioni di salute statisticamente peggiori.
Ovviamente ci sono anche alcuni ragazzi con specifici e rilevanti problemi di salute per i quali occorre definire specifiche misure di prevenzione.
Professori. Ragioniamo sui professori che sono la componente più rilevante e con maggiore contatto con gli studenti. Ma il ragionamento vale per tutti.
In Italia l’età dei docenti è particolarmente elevata. I primi dati epidemiologici ci dicono che i 50 anni, i 55, i 60 anni corrispondono a soglie con rischio via via più elevato. Nei prossimi mesi potremo leggere questi dati alla luce della compresenza di malattie croniche, ma la questione non cambia. Una parte del personale della scuola rientra in fasce di età con rischi importanti.
E questo aspetto non può non essere considerato quanto si definisce la strategia di prevenzione in una scuola. Prima di pensare a cattedre “difese “ dal plexiglass dobbiamo magari pensare a soluzioni funzionali con modifiche dell' organizzazione del lavoro o dei ruoli dei singoli.
Clima. Tutti concordano che la ventilazione degli ambienti è un fattore importante. Ma le finestre aperte sono una soluzione facile per alcuni mesi all’anno. Per una buona parte dell’anno le condizioni climatiche sono molto differenti tra le Regioni. E dato che non serve “dichiarare dei principi”, ma serve “praticare delle misure” occorre confrontarsi con questo problema. Le soluzioni si trovano. E, ancor prima, dobbiamo chiederci se nella nostra scuola le finestre sono effettivamente apribili.
Laboratori, spostamenti, spogliatoi. Gli scenari variano molto. Talvolta vi si può accedere già abbigliati per l'attività, talaltra no. E parte delle attività di laboratorio non consente di mantenere le distanze di sicurezza. Anche in questo caso si possono adottare alcune misure organizzative. Ma bisogna considerare ipotesi che richiedono la revisione delle modalità di conduzione delle laboratorio.
Insomma, anche se vogliamo pensare che il peggio sia passato, ricordiamo ancora i danni prodotti da quelli di “Milano non si ferma”. Il senso di responsabilità richiede che ci si attrezzi ad affrontare gli scenari peggiori. Che peraltro la scienza considera seriamente. E questo non si fa “recitando l’emergenza”, ma riflettendo in modo partecipato su come organizzare le attività scolastiche.
Diamo per scontate le igienizzazioni delle superfici e non trascuriamo il lavaggio delle mani, così ragioniamo su obiettivi prevenzionistici “di processo”. In ordine di priorità:
✔ Svolgere le attività mantenendo le distanze. 2 metri sono meglio di uno; occorre considerare quanto le distanze effettive rischiano di essere inferiori alle scelte effettuate.
✔ Svolgere le attività all'aperto o in ambienti con finestre aperte. Comuni, non aspettate settembre per allestire aule all'aperto, magari coperte da tettoie.
✔ Evitare l’accesso a scuola di persone con febbre oltre il 37,5°C o con sintomi a carico delle vie respiratorie e/o congiuntiviti. Si può perseguire l’obiettivo con la sensibilizzazione ed il controllo. I termo-scanner, che non misurano la febbre (…), passeranno di moda. Ma non si può presumere di intercettare tutti i casi durante l’accesso a scuola. Occorrono prevedere anche l’intervento a posteriori.
✔ Evitare che si verifichino contratti stretti, intesi come 15 minuti (cumulativi) di faccia a faccia. (le 2 ore di compresenza nella medesima stanza non sono evitabili)
✔ Limitare le attività che comportano vicinanza eccessiva (spogliatoi) con riorganizzazione delle stesse.
✔ Riorganizzare le attività considerando i soggetti a rischio presenti nella scuola:
1 personale con indicatori di rischio (età, patologie)
2 studenti portatori di patologie che determinano maggiore rischio;
3 studenti con maggiori rischi individuali o famigliari
✔ Usare mascherine. Opportunamente dovrebbero essere utilizzate quelle chirurgiche e non “mascherine di comunità”. Con tutti problemi organizzativi già accennati.
✔ Adottare schermi protettivi dove non controindicati da esigenze didattiche (per esempio nelle segreterie, nelle postazioni degli operatori scolastici) o sulla base di valutazioni rischio/beneficio.
Seguendo questa logica si può giungere a definire la strategia ed il mix di misure da adottare. Ma se vogliamo che tutto ciò possa accadere, occorre che la Politica faccia il suo mestiere. Per quanto si debba tendere al “Rischio Zero”, decenni di esperienza delle attività di prevenzione insegnano che occorre essere pragmatici per evitare che buone intenzioni causino gravi danni. Occorre chiedersi cioè se il “rischio zero” sia praticabile.
Nascondersi dietro ad affermazioni quali “Vogliamo tutelare tutti! Vogliamo che nessuno si ammali!” sono sostanzialmente affermazioni qualunquiste e demagogiche. O se preferite, populiste. Invece occorre definire quali siano i livelli di rischio considerati accettabili, sempre che si accettino dei livelli di rischio. Se a priori i rischi sono equamente ripartiti su tutta la popolazione, gli aspetti etici sono connessi solo con la dimensione del rischio che si accetta. Se a priori i rischi riguardano maggiormente (o solo) determinate categorie, allora ogni ragionamento diventa più critico.
Per la Covid19 siamo in una situazione intermedia. La malattia interessa tutti, ma ha una letalità crescente con l’età. Inoltre non è una malattia democratica, in quanto chi vive in condizioni economiche e sociali disagiate rischi di più.
Questo non significa che ci si debba bloccare, ma al contrario stimola ad orientare le risorse verso gli aspetti più critici della riapertura.
Carlo Proietti
E’ sicuramente una questione complessa, ma se il Ministero dell'istruzione ed il Governo non stanno facendo una bella figura, i cori delle famiglie che si lamentano e con il controcanto dei "vecchi professori" che pensano di risolvere tutto con citazioni latine, non sono di grande aiuto. Tutti intuiscono che le soluzioni devono differenziarsi per i vari cicli di istruzione. Ma tutti vogliono lo stesso che governo scriva le “regole”, secondo il vecchio vizio italiano per cui tocca allo Stato scrivere le regole e poi tocca sempre allo Stato dimostrare che non le stiamo rispettando.
La cosa buffa è che questo approccio piace anche a molti "europeisti convinti" che sembrano ignorare che l'UE da oltre 25 anni chiede a ciascuno di definire le sue regole, per la sua situazione locale, sulla base di principi e criteri, questi sì definiti dallo Stato. Si chiama responsabilità.
E’ anche chiaro che alcune scelte “macro” non possono che essere fatte d’intesa dal Governo e dalla Conferenza delle Regioni. Se si intende ridurre la dimensione delle classi ed assumere personale, la scelta non può che essere statale. Però, se si vuole adottare la didattica a distanza come strumento ordinario, alcuni requisiti non possono che essere definiti in modo unitario, centralmente, con tutte le consultazioni del caso. La riduzione della durata delle ore di lezione non può essere lasciata alle singola scuola, senza che a monte sia definito un “recinto” entro cui ogni istituto può muoversi.
Si capisce perciò che il mix di misure da adottare, la “strategia”, se si vuole essere efficaci, non può che essere definito localmente sulla base di una valutazione dei rischi che consideri le caratteristiche locali.
Quali? Senza fare liste esaustive, possiamo ragionare su alcuni aspetti di cui probabilmente tutti abbiamo già sentito parlare.
Caratteristiche degli edifici scolastici. Influiscono sugli “addensamenti di persone”. Quante entrate ha la scuola? Ci sono degli atri? Piccoli? Ampi? Quante scale di accesso? Sono larghe o sono strette? I corridoi sono ampi o sono stretti? E’ possibile avere una supervisione di questi spazi? I servizi igienici come sono disposti? Sono abbondanti o sono scarsi? Com’è la dotazione di finestre apribili negli ambienti comuni?
Aule. Al netto degli arredi per le aule scolastiche la normativa del 1975 ha previsto 1,80 mq/ alunno nelle scuole materne, elementari, medie e 1,96 mq / alunno nelle scuole superiori. Ma la vestustà della norma non giustifica ottimismo. Molte scuole sono vecchie, altre proprio antiche. Ed anche recentemente, amministrazioni burlone, hanno pensato di fare “scuole a norma”, accorpando plessi e affastellando allievi. Giuste giuste, “al pelo” con gli standard minimi. Questo tanto per ricordare il contrasto tra “norme comunitarie” e “Europa Unita”, una nostra scuola costata 8 anni di attesa, 6 milioni di spesa, per essere piccola e affollata!
In un’aula ampia riusciamo a piazzare 12 – 14 studenti. Questo se vogliamo fare come i tanto decantati Paesi nordici. Quindi o aumentiamo almeno del 75% in numero delle classi e dei docenti, oppure abbiamo un problema.
Mascherine. Le mascherine chirurgiche possono, insieme ad altre misure, essere una soluzione. Tutti i cori che narrano di disturbi e rischi per la salute, sono spazzatura. L’uso di mascherine è una pratica ben studiata da decenni, ma proprio per questo sappiamo che le mascherine, pur non essendo dei DPI, sono soggette alle medesime criticità. L’uso è affidato all’attenzione individuale, l’efficacia è subordinata al corretto uso e di nuovo a variabili individuali. Le mascherine danno fastidio.
Insomma sono una misura di protezione fragile, come ben descrive la medicina occupazionale. Per periodi relativamente brevi è possibile ottenere una buona adesione da parte degli utilizzatori, sempre che si mettano in atto interventi motivazionali. Ed è probabile che si possano ottenere risultati migliori nelle elementari che non nei gradi successivi. Comunque sia, si pongono problemi organizzativi non di poco conto. Come si interviene per studenti che arrivano a scuola privi di mascherina? Con poche eccezioni si tratta di minorenni, che non possono essere allontanati se non ci sono i genitori a tiro. Occorre accoglierli e sorvegliarli, in un contesto critico (non hanno la mascherina). Oppure occorre fornire loro la mascherina ...
Studenti. Gli studenti differiscono fra loro per molti aspetti, non solo per l’età. Possiamo avere studenti con differente rischio individuale e famigliare di contagio e malattia grave. Per esempio è possibile che in un istituto professionale i rischi siano maggiori che non in un liceo classico (o se preferite in una scuola di periferia rispetto ad una scuola delle “zone bene” della città). I genitori possono fare lavori a rischio (OSS, badante, autista, ecc.) e/o possono vivere in appartamenti spazi ristretti.
Se poi ci sono studenti soggetti a pendolarismo, si aggiunge un altro possibile fattore di rischio, considerato che l’accesso a scuola non avviene a piedi, in bici o accompagnati dai genitori.
In generale i ragazzi hanno un basso rischio di manifestare malattia in forma grave. Ma i ragazzi sono veicolo di trasmissione del virus verso le loro famiglie; questo problema rischia di essere tanto più grave quanto maggiore è l’età dei conviventi o quanto peggiori sono le condizioni socio economiche delle famiglie, per condizioni di salute statisticamente peggiori.
Ovviamente ci sono anche alcuni ragazzi con specifici e rilevanti problemi di salute per i quali occorre definire specifiche misure di prevenzione.
Professori. Ragioniamo sui professori che sono la componente più rilevante e con maggiore contatto con gli studenti. Ma il ragionamento vale per tutti.
In Italia l’età dei docenti è particolarmente elevata. I primi dati epidemiologici ci dicono che i 50 anni, i 55, i 60 anni corrispondono a soglie con rischio via via più elevato. Nei prossimi mesi potremo leggere questi dati alla luce della compresenza di malattie croniche, ma la questione non cambia. Una parte del personale della scuola rientra in fasce di età con rischi importanti.
E questo aspetto non può non essere considerato quanto si definisce la strategia di prevenzione in una scuola. Prima di pensare a cattedre “difese “ dal plexiglass dobbiamo magari pensare a soluzioni funzionali con modifiche dell' organizzazione del lavoro o dei ruoli dei singoli.
Clima. Tutti concordano che la ventilazione degli ambienti è un fattore importante. Ma le finestre aperte sono una soluzione facile per alcuni mesi all’anno. Per una buona parte dell’anno le condizioni climatiche sono molto differenti tra le Regioni. E dato che non serve “dichiarare dei principi”, ma serve “praticare delle misure” occorre confrontarsi con questo problema. Le soluzioni si trovano. E, ancor prima, dobbiamo chiederci se nella nostra scuola le finestre sono effettivamente apribili.
Laboratori, spostamenti, spogliatoi. Gli scenari variano molto. Talvolta vi si può accedere già abbigliati per l'attività, talaltra no. E parte delle attività di laboratorio non consente di mantenere le distanze di sicurezza. Anche in questo caso si possono adottare alcune misure organizzative. Ma bisogna considerare ipotesi che richiedono la revisione delle modalità di conduzione delle laboratorio.
Insomma, anche se vogliamo pensare che il peggio sia passato, ricordiamo ancora i danni prodotti da quelli di “Milano non si ferma”. Il senso di responsabilità richiede che ci si attrezzi ad affrontare gli scenari peggiori. Che peraltro la scienza considera seriamente. E questo non si fa “recitando l’emergenza”, ma riflettendo in modo partecipato su come organizzare le attività scolastiche.
✔ Svolgere le attività mantenendo le distanze. 2 metri sono meglio di uno; occorre considerare quanto le distanze effettive rischiano di essere inferiori alle scelte effettuate.
✔ Svolgere le attività all'aperto o in ambienti con finestre aperte. Comuni, non aspettate settembre per allestire aule all'aperto, magari coperte da tettoie.
✔ Evitare l’accesso a scuola di persone con febbre oltre il 37,5°C o con sintomi a carico delle vie respiratorie e/o congiuntiviti. Si può perseguire l’obiettivo con la sensibilizzazione ed il controllo. I termo-scanner, che non misurano la febbre (…), passeranno di moda. Ma non si può presumere di intercettare tutti i casi durante l’accesso a scuola. Occorrono prevedere anche l’intervento a posteriori.
✔ Evitare che si verifichino contratti stretti, intesi come 15 minuti (cumulativi) di faccia a faccia. (le 2 ore di compresenza nella medesima stanza non sono evitabili)
✔ Limitare le attività che comportano vicinanza eccessiva (spogliatoi) con riorganizzazione delle stesse.
✔ Riorganizzare le attività considerando i soggetti a rischio presenti nella scuola:
1 personale con indicatori di rischio (età, patologie)
2 studenti portatori di patologie che determinano maggiore rischio;
3 studenti con maggiori rischi individuali o famigliari
✔ Usare mascherine. Opportunamente dovrebbero essere utilizzate quelle chirurgiche e non “mascherine di comunità”. Con tutti problemi organizzativi già accennati.
✔ Adottare schermi protettivi dove non controindicati da esigenze didattiche (per esempio nelle segreterie, nelle postazioni degli operatori scolastici) o sulla base di valutazioni rischio/beneficio.
Seguendo questa logica si può giungere a definire la strategia ed il mix di misure da adottare. Ma se vogliamo che tutto ciò possa accadere, occorre che la Politica faccia il suo mestiere. Per quanto si debba tendere al “Rischio Zero”, decenni di esperienza delle attività di prevenzione insegnano che occorre essere pragmatici per evitare che buone intenzioni causino gravi danni. Occorre chiedersi cioè se il “rischio zero” sia praticabile.
Nascondersi dietro ad affermazioni quali “Vogliamo tutelare tutti! Vogliamo che nessuno si ammali!” sono sostanzialmente affermazioni qualunquiste e demagogiche. O se preferite, populiste. Invece occorre definire quali siano i livelli di rischio considerati accettabili, sempre che si accettino dei livelli di rischio. Se a priori i rischi sono equamente ripartiti su tutta la popolazione, gli aspetti etici sono connessi solo con la dimensione del rischio che si accetta. Se a priori i rischi riguardano maggiormente (o solo) determinate categorie, allora ogni ragionamento diventa più critico.
Per la Covid19 siamo in una situazione intermedia. La malattia interessa tutti, ma ha una letalità crescente con l’età. Inoltre non è una malattia democratica, in quanto chi vive in condizioni economiche e sociali disagiate rischi di più.
Questo non significa che ci si debba bloccare, ma al contrario stimola ad orientare le risorse verso gli aspetti più critici della riapertura.
Carlo Proietti
PS In questi giorni la comunità scientifica discute appassionatamente intorno agli esiti di uno studio australiano che parrebbe dimostrare che a scuola non ci si contagia. Non è proprio così, nel prossimo post, domani, ne ragioniamo per bene.
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