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Teleriscaldamento e case popolari a Grugliasco

I costi impazziti del teleriscaldamento hanno provocato reazioni forti soprattutto nei quartieri popolari. La prima spiegazione che tutti si danno è “Perché lì i redditi sono minori”; potemmo accontentarci anche noi, visto che anche il governo e gli Enti locali non sanno andare oltre. E così la pressione dei cittadini porta alla soluzione magica di questi anni: il “bonus”.

Però, se un aiuto è sacrosanto, dobbiamo anche dirci che il “bonus” piace perché si girano soldi alle imprese che hanno il monopolio delle reti di teleriscaldamento. Insomma, con il bonus si fanno contenti tutti, … se i cittadini sono disattenti.

In realtà, molte case popolari, soprattutto quelle costruite negli anni dell’emergenza abitativa, non garantiscono un isolamento termico decente: pareti che non isolano, ponti termici, infissi che a stento tengono fuori la pioggia. Se guardiamo la storia locale, vediamo che nel 2002 – 2003 le amministrazioni pubbliche e l’ATC hanno fatto sostituito le caldaiette con il teleriscaldamento. Cosa che sarebbe stata ottima se prima avessero adeguato i requisiti degli edifici (isolamento, infissi).

E invece - come al solito - qualcuno ha detto “Intanto facciamo questo! Tranquilli, poi faremo il resto”. E gli interventi di riqualificazione degli edifici non sono mai stati fatti. Se siete solo un pochino maliziosi, vi viene il dubbio che la sciatteria, il pressapochismo e la pigrizia siano poco più che cause apparenti. Perché per questa via c’è chi ci guadagna…  

Quindi più che i “bonus”, in via transitoria, servono tariffe eque; ricordiamoci che il teleriscaldamento ha un senso se deriva da cogenerazione e “per definizione” costa meno che il riscaldamento con caldaia a metano. Ma i “bonus” mentre arricchiscono i gestori del teleriscaldamento, sottraggono risorse ad altri servizi per la collettività (sanità, scuole, ecc.). E non raccontatevi che i “bonus” devono essere finanziati con la riduzione delle spese militari! Non solo perché siamo nel mondo reale e non nel Mondo dei Puffi. Ma anche (soprattutto) perché non possiamo permetterci di emettere gas clima alteranti dove lo si può evitare.

Quindi bisogna intervenire per riqualificare gli edifici. O costruirne di nuovi, quando più conveniente. Perché?

Perché un edificio in classe G (e le case popolari sovente sono peggio della classe G) consuma il circa il 75% in più rispetto ad un edificio in classe E. Ed un edificio in classe G consuma il 125% in più rispetto ad un edificio in classe DCon queste premesse l’ Unione Europea “vuole” che gli edifici residenziali raggiungano come minimo la Classe E entro il 2030 e la classe D entro il 2033 e dal 2028 tutti i nuovi edifici dovranno essere realizzati a “Emissioni Zero”.

Ma la politica che conta non sa fare altro che sbraitare contro i provvedimenti dell’Europa oppure fare il tifo.  Quando invece occorre chiedersi come perseguire questo obiettivo garantendone la sostenibilità sociale. La bonifica delle case popolari è una goccia nel mare delle cose da fare per arrestare il mutamento climatico. Ma chi abita nelle case popolari ne ha il diritto sulla base di parametri economici e sociali. I requisiti delle abitazioni sono di fatto stabiliti dagli enti gestori (ATC ed altri) e così capita che il “beneficio” è vanificato dalla extra spesa per il riscaldamento dovuta (anche) ai requisiti degli edifici.

Cosa bisogna fare? Per le case popolari in larga misura esistono i dati utili per definire le fattibilità e le priorità degli interventi. Adesso queste informazioni devono essere rese pubbliche, perché solo così si può spingere l’adeguamento degli edifici. La prima risposta, come in mille altre occasioni, sarà che “Si faranno degli studi”. Dove servono si dovranno fare, ma prima si rendono pubblici i dati già esistenti. Altrimenti serve solo per dare soldi ai consulenti e per prendere tempo.

Carlo Proietti

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