Grillo da esportazione
Enrique Gil Calvo, El País (Madrid)
La vittoria di Pepito Grillo (il nome spagnolo del Grillo parlante di
Collodi) alle recenti elezioni italiane ha attirato nuovamente l’attenzione
sull’avanzata del populismo, favorito da quelle contraddizioni tra
capitalismo e democrazia che hanno aperto una crisi politica come conseguenza
della speculazione finanziaria. Abbiamo già assistito a un percorso simile in
Grecia, quando il sistema dei partiti è crollato sotto la pressione dei mercati
a tutto vantaggio (elettorale) di due populismi anti-sistema di segno politico
opposto: l’estrema destra di (Alba dorata
e la sinistra radicale di Syriza),
emersi dopo un breve periodo di governo tecnico e rigorosa obbedienza
finanziaria.
Sempre più osservatori sono convinti che Beppe Grillo non debba essere
considerato un moderno pifferaio di Hamelin capace di attirare i bambini
incauti, ma soltanto la polena di un movimento sociale pluralista e
assembleario che raggruppa tutte le voci eterogenee accomunate dal rifiuto
della classe politica ed emerse dalla società civile. Per età ed estrazione dei
partecipanti (giovani della borghesia istruita) e per strumenti organizzativi
(i social network e le tecnologie dell’informazione) e mobilitanti
(l’occupazione festosa delle piazze), il Movimento 5 Stelle (erede dei
girotondi di 10 anni fa) somiglia al movimento spagnolo degli indignados del 15
maggio e a tutti i suoi derivati: il movimento Rodea el Congreso del 15-S, lo
Stop Desahucios della Pah e le mobilitazioni civiche di tutti i colori (bianca,
verde, nera, arancione, eccetera).
Come il colesterolo
Come con il colesterolo, bisogna distinguere tra un populismo buono (affine
al capitale sociale universalista che genera fiducia) e un populismo cattivo
(capitale sociale particolarista che genera sfiducia). Il populismo cattivo è
quello di Berlusconi e dei capipopolo come lui, quello del padrino mafioso che
sequestra i suoi seguaci per sfruttarli a proprio vantaggio. Il populismo buono
(teorizzato da Ernesto Laclau) è quello
dei girotondi, degli indignados, del 15-m e del M5s: un movimento universalista
e integratore capace di articolare e interconnettere una pluralità di reti
sociali eterogenee, organizzandole in un’unica mobilitazione collettiva pronta
ad alzare la voce di tutta la società civile. La differenza tra il caso
italiano e quello spagnolo è l’esistenza di Beppe Grillo come maschera
teatrale: un portavoce collettivo capace di fungere da ventriloquo del
movimento sociale. In Spagna nessuno ha saputo interpretare questo ruolo.
Mi diranno che
Grillo non è niente di più che un pagliaccio (o niente di meno, come ha
sottolineato il candidato socialdemocratico alla cancelleria tedesca). In
realtà è uno speculatore che ha puntato sulla politica e ha vinto, proprio come
gli speculatori finanziari puntano sul mercato con il solo scopo di vincere. Ma
allora, se ammettiamo che la speculazione è consustanziale alla logica del
mercato finanziario, perché non dovrebbe esserlo anche il populismo speculativo
all’interno della logica democratica del gioco elettorale?
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