Il Partito Dinamitardo
di
Valerio
Valentini
Le
elezioni sono vicine e dunque, come al solito, pur di imbarcare
chiunque possa portare in dote lo
zerovirgolazerozerozerozeropurchésia, il PD si esibisce in
contorsionismi logico-politico-sintattici da far quasi invidia
all’Aldo Moro descritto da Rino Gaetano .
Dopo
aver stipulato l’alleanza con Sel, ma aver anche strizzato l’occhio
a Monti e Casini, dopo aver calamitato il redivivo PSI (ancora tu?) e
aver teso la mano anche al compagno Tabacci, Bersani non s’è
voluto far mancare proprio nulla. E ha stretto un accordo anche con
la Südtiroler Volkspartei.
Si
tratta del partito altoatesino che si batte per l’autonomia della
provincia di Bolzano, che di tanto in tanto minaccia la secessione e
che elogia , come
“combattenti per la libertà”, i terroristi sudtirolesi che dagli
anni ’50 agli anni ’80 hanno organizzato decine di attentati,
costati
la vita a 21 persone,
per ottenere l’annessione all’Austria. Se il Movimento Cinque
Stelle è fascista perché Grillo ha detto che qualunque cittadino,
purché abbia i requisiti, può iscriversi al MoVimento, il PD è
allora da considerarsi un partito
di terroristi,
visto che addirittura stringe con chi elogiava i bombaroli?
Applicando la stessa logica, Pd starebbe dunque per Partito
Dinamitardo?
Che poi il Svp è quello stesso partito che, nelle fasi convulse del
dicembre 2010, in vista del voto di fiducia al governo Berlusconi,
offrì
i voti dei suoi due deputati al miglior offerente.
Cioè, ovviamente, a
Berlusconi,
che in cambio regalò alla Svp la gestione della parte altoatesina
del Parco dello Stelvio e rimandò la chiusura dell’aeroporto di
Bolzano. Con tanti saluti al caro PD, nelle cui liste i candidati Svp
erano stati eletti nel 2008.
Uno
dice: dopo questa fregatura, col cavolo che il PD ci ricasca a
stringere l’alleanza. Ma è evidente che l’autolesionismo del PD
non ha limiti, e infatti nel dicembre scorso l’accordo è arrivato.
“Un patto di ferro – è stato definito dai dirigenti della Svp –
volto a rafforzare l’autonomia”. Tra i tanti impegni indicati
nel testo sottoscritto da Bersani, ce n’è uno molto importante,
che serve a garantire e a rafforzare uno dei privilegi concessi oggi
alla provincia autonoma di Bolzano: mantenere il 90% delle tasse sul
territorio locale, mandando a Roma soltanto il rimanente.
Ovviamente
quest’accordo ha suscitato le dure reazioni
di
molti elettori del PD veneto, soprattutto quelli residenti nella
provincia di Belluno, che da anni denunciano una vera e propria
concorrenza sleale, soprattutto per quanto riguarda il settore
turistico, da parte dei commercianti trentini e altoatesini,
agevolati proprio dall’autonomia.
E
così il 29 gennaio scorso Bersani, nell’intento costante di non
tradire la logica veltroniana del “ma anche”, ormai assurta a
linea programmatica del PD, ha rassicurato
i
suoi elettori veneti durante un incontro elettorale a Padova,
dicendosi “convinto che sia giunto il tempo di ridiscutere certi
privilegi e riequilibrare la bilancia: si deve aprire un confronto
vero tra le regioni e stabilire fin dove quelle speciali possono
rinunciare e fin dove quelle ordinarie possono arrivare, grazie a
nuove forme di autonomia”. È probabile che qualcuno dei presenti
avrà applaudito bevendosi la balla. È sicuro invece che subito gli
elettori del PD trentini e altoatesini si sono arrabbiati, e non
poco.
E
infatti hanno preteso che Bersani chiarisse a chiare lettere.
“L’autonomia dell’Alto Adige non si tocca – ha dichiarato
allora,
col piglio deciso, il segretario del PD – e del resto io sono un
grande amico dell’Alto Adige”. E riguardo all’autonomia
considerata un privilegio? “Non credo di aver mai pronunciato
quella parola – si giustifica Bersani – Non so come è venuta
fuori”. Polemica chiusa? Apparentemente sì.
Ma
ora entriamo nel merito: l’autonomia. Uno degli studi più accurati
sulla spesa delle regioni è contenuto in un rapporto
del
2010 della CGIA di Mestre. I dati mostrano come i cittadini residenti
nelle regioni a statuto speciale godano di enormi benefici: nel 2010,
infatti, la spesa pro-capite media in Italia è stata di 3.454 euro;
in Val d’Aosta, però, la stessa spesa pro-capite media è stata di
13.139, nella Provincia Autonoma di Bolzano 9.544 euro, in quella di
Trento 8.860 euro. È un caso che ai primi tre posti ci siano tre
enti a statuto speciale? Ed è un caso che nei primi 7 posti di
questa graduatoria figurino proprio le 6 regioni e province autonome
(l’unica intrusa è la Basilicata al 4° posto)?
Questa
realtà trova un riscontro anche nei dati (a pagina 15)
della
Ragioneria Generale dello Stato, secondo cui, a conti fatti, la spesa
pro-capite in Val d’Aosta (12.171 euro) e Trentino-Alto Adige
(10.861 euro) è quasi il triplo rispetto alla media nazionale
(4.167). Discorso analogo per la spesa sul Pil: se in Italia la media
è poco superiore al 15%, in Trentino-Alto Adige è pari al 33% e in
Val d’Aosta sfiora il 36% (Sicilia e Sardegna non sono molto
lontane da quelle cifre).
Di
solito si obietta che le autonomie sono riconosciute a livello
costituzionale, e questo è vero; e che erano nate con scopi nobili,
e anche questo, in massima parte, è vero (forse un po’ meno vero
per quanto riguarda la Sicilia). Di solito, poi, si dice anche che
non si deve fare di tutta l’erba un fascio: ché l’autonomia in
Trentino-Alto Adige ha rappresentato un opportunità di sviluppo e in
Sicilia un incentivo alla corruzione. Resta il fatto che, nella
situazione attuale, non c’è nessuna necessità economica – se
non per la Sardegna, dove forse l’autonomia andrebbe addirittura
rafforzata – che giustifica la permanenza degli statuti speciali; e
che una riforma costituzionale non è necessariamente un attentato
alla democrazia.
E
poi, soprattutto, resta una responsabilità politica imputabile a
Bersani.
Come può, il segretario del PD, parlare tanto di equità e
di riequilibrio se poi, di fatto, non solo giustifica, ma intende
addirittura rafforzare uno strumento che, seppur legalmente, mette
alcuni cittadini in condizioni privilegiate rispetto al resto della
nazione?
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