LA CITTÁ PROIBITA
Quando
ero bambina, i miei genitori (come molti altri) lavoravano tutto il
giorno e quindi come tanti bimbi, passavo le giornate con i miei
nonni.
Mio
nonno (papà di mamma) era un carabiniere a riposo, anzi: un
comandante di stazione in congedo! Durante la seconda guerra
mondiale, aveva trascorso anche alcuni anni in Libia ad addestrare
gli ausiliari carabinieri della colonia, nella zona della Cirenaica e
Tripolitania, dato che era un tiratore scelto!
Quand’ero
piccola quindi i racconti delle sue “avventure”, erano sempre
affascinanti per me e passavo delle ore ad ascoltarlo. Ma non solo,
ogni tanto quando gli chiedevo di giocare con me, lui mi proponeva
sempre un gioco: giocare ai carabinieri.
Il
gioco dei carabinieri aveva due versioni: la prima era quella in cui
lui era il mio superiore ed io una recluta da addestrare; in pratica
ho fatto il C.A.R. a tre, quattro anni… La seconda versione era
quella classica di “guardia e ladri”, dove (chissà perché) lui
era sempre la guardia ed io sempre il ladro!
Funzionava
più o meno così: io fingevo di rubare qualcosa, lui faceva
l’indagine, scopriva il colpevole, mi arrestava e mi metteva in
prigione.
La prigione dei miei giochi erano quattro sedie, che fungevano da muri invalicabili: il nonno mi metteva all’interno delle quattro sedie e mi tirava fuori solo per il “processo”, poi ovviamente mi condannava e mi rimetteva in prigione a scontare la pena…
La prigione dei miei giochi erano quattro sedie, che fungevano da muri invalicabili: il nonno mi metteva all’interno delle quattro sedie e mi tirava fuori solo per il “processo”, poi ovviamente mi condannava e mi rimetteva in prigione a scontare la pena…
Perché nei giochi, i cattivi vanno sempre in prigione! Non come nella vita vera ed i processi sono rapidi e durano pochi minuti, non come nella vita vera che possono durare decenni, per non venirne magari a capo di nulla!
Un
paio d’anni fa, nell’estate del 2010, ho avuto l’occasione di
vedere dall’interno un carcere vero. Non come guardia perché non
sono un carabiniere, né un agente della polizia penitenziaria, ma
neanche come “ladro”. Ho avuto l’occasione di lavorare nel
carcere delle Vallette di Torino, come insegnante di un corso di
formazione professionale, organizzato dai Fratelli delle Scuole
Cristiane, o meglio: dal C.F.P.P. Ovvero: Centro di Formazione
Professionale per il Piemonte.
Come
sono arrivata a questa esperienza? Casualmente. Un bel giorno mi
squilla il telefono e dall’altra parte c’era uno dei miei più
cari amici, che mi chiedeva aiuto perché aveva bisogno di
un’insegnate per un corso estivo di 5 settimane, di taglio e
confezione da tenersi all’interno del carcere, nella sezione
femminile. Il mio amico è stato per otto anni circa, direttore dei
corsi di formazione professionale tenuti dai Fratelli delle Scuole
cristiane, nel carcere delle Vallette e nella sua succursale di Ivrea
e, nei primi anni anche nel carcere di Saluzzo.
Da
incosciente gli ho risposto subito di si, poi mi sono chiesta se ne
sarei stata all’altezza (di insegnare bene intendo), e in seguito
mi sono ritrovare a pensare, di essere stata fortunata ad avere avuto
l’opportunità di vedere dal didentro – anche se in modo molto
parziale e limitato – questo misterioso mondo del carcere.
Il
carcere non sono quattro sedie!
Il
carcere è un mondo complesso, quasi una città proibita come quelle
degli antichi imperi: dalle mura invalicabili per chi sta fuori,
eccetto poche persone; e altrettanto invalicabile per chi vive al suo
interno, eccetto per chi prima o poi ne esce.
Nel
carcere vivono anche i bambini: i figli delle detenute al disotto dei
tre anni, e vivono in cella con le loro mamme. Per loro esiste un
asilo, perché a volte le mamme lavorano dentro il carcere, in
cooperative.
In
carcere (come dicevo prima) si può anche studiare. Ci sono corsi di
alfabetizzazione di base, come le scuole elementari e medie,
frequentati soprattutto dagli stranieri che, in questo modo hanno
l’occasione di imparare bene l’italiano e non solo.
Ci
sono corsi di formazione professionale a livello di scuola superiore,
in modo da poter fornire a chi è in carcere, degli strumenti per
trovare lavoro (una volta usciti) e sganciarsi da un giro vizioso che
li riporterebbe a delinquere o comunque, a trovarsi nuovamente nelle
condizioni di essere ancora a rischio di arresto.
C’è
la possibilità anche di fare studi universitari e laurearsi! Quando
ho tenuto il corso in carcere, ho avuto occasione di parlare con uno
degli insegnanti della Facoltà Teologica di Torino, che mi diceva di
aver fatto (qualche anno prima) delle lezioni universitarie ad un
detenuto che stava appunto laureandosi.
In
queste ultime settimane ho sentito spesso parlare di problematiche
legate al carcere, partendo dal Presidente Napolitano, via, via
riprendendo l’argomento anche da molti politici nazionali.
Su
questa scia, negli ultimi giorni anche il TG3 del Piemonte, ha fatto
una serie di servizi sui carceri piemontesi.
Spesso
ci capita di dire o di pensare, riferendoci ad alcune persone o
situazioni (che so, magari negli ultimi tempi ai Rossignolo per la
situazione della ex Pininfarina), che “un po’ di galera non gli
farebbe male a qualcuno”!
Normalmente
però non sappiamo di cosa stiamo davvero parlando perché (per
nostra fortuna), non abbiamo mai avuto l’occasione di vedere dal di
dentro un carcere!
Se
avete la curiosità di capire un po’ meglio questo mondo, vi invito
intanto a dare un’occhiata al sito internet della casa
circondariale di Torino: www.circondarialetorino.it
.
È già un primo passo per approfondire un poco la conoscenza di
questa realtà.
E
magari, se abbiamo sotto mano la Costituzione Italiana, vi suggerisco
anche di andare a riscoprire cosa recita l’articolo 27 ed anche la
parte I° sui “diritti e doveri dei cittadini”.
Riusciremo
a farci un quadro più ampio, su cui poter avere un’opinione più
corretta di ciò che sentiamo dire in queste settimane, attraverso i
media, riguardo questo argomento.
Manuela Mariuzzo
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