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Bambini e famiglie in fuga dal dirigente bullo: chi se ne occupa?

Sia come si vuole, ma io mio figlio qui non ce lo mando più: è letteralmente terrorizzato dalla maestra, che lo mette in punizione e strilla come un’aquila. Mio figlio ha solo tre anni, non riesce a capire perché viene punito, ha frequentato il nido senza problemi e solo quest’anno si trova in questo stato. Non è l’unico ad avere problemi, già altri suoi compagni e compagne si sono trasferiti in altre scuole: uno i genitori l’hanno mandato alla scuola privata pur di toglierlo di lì, altri due sono stati trasferiti in scuole dello stesso istituto comprensivo. Chiederò anche io che venga trasferito in qualche altra scuola dell’infanzia perché la situazione si è fatta insostenibile, per lui e per noi”.  

Così la signora Maria, mamma di Marco, circa dieci giorni fa decide di affrontare di petto il problema che affligge suo figlio e la sua famiglia da quando ha cominciato a frequentare la scuola dell’infanzia statale a cui è stato iscritto. Il bambino è già a casa da qualche giorno, se ne occupano i bisnonni perché genitori e nonni lavorano (pagano anche le tasse con cui si finanzia la scuola pubblica, stipendi degli addetti compresi), ma non può essere una soluzione. La signora ha chiesto al dirigente di cambiare classe o scuola al figlio, ma non ha ottenuto altra risposta che latitanza, insofferenza, giustificazioni, rinvii. Ha anche scritto per chiedere ufficialmente un provvedimento che permetta al suo bambino di avere una scuola, una classe, insomma di esercitare il suo diritto allo studio, ma il dirigente da un certo punto in poi tace: non risponde alle e-mail, alle chiamate telefoniche, nemmeno alle pec. Se ne sbatte talmente che non risponde neppure alla comunicazione dell’avvocato che, nel frattempo, la famiglia di Marco ha interpellato.

Il dirigente fa il duro: il bambino si aggiusti, la famiglia pure, nella SUA! scuola comanda lui. Niente di nuovo in un paese nel quale i servizi pubblici sono spesso governati da pusillanimi che trattano le cose di tutti come fossero di loro proprietà.

La famiglia si mette alla ricerca di un’altra scuola dove Marco deve poter ritrovare la serenità perduta, così si rivolge ad altri Istituti comprensivi della città: fanno fatica a soddisfare la richiesta – dicono – i bambini in fuga dalle scuole del dirigente bullo cominciano a essere troppi e le richieste crescono ben oltre le possibilità. Ci provano lo stesso, studiando con la famiglia una soluzione che risolve la faccenda. Da lunedì Marco potrà tornare a scuola e potrà perfino usufruire del pisolino quotidiano, quello che in altre scuole della città è precluso anche ai bambini più piccoli. Tutto in una scuola pubblica statale, efficiente come è giusto che sia e capace di offrire risposte civili in tempi accettabili, soprattutto rispettose delle persone.

Nella città tutto scorre come prima, i politici  anche quelli chiamati in causa dalla famiglia di Marco - si interessano della loro promozione pavoneggiandosi sui social mentre fanno cose inutili e incomprensibili; genitori e nonni borbottano davanti ai cancelli delle scuole, incapaci di organizzarsi per far valere il loro diritto a una scuola moderna, inclusiva e competente, spesso costretti all’affannosa ricerca di una soluzione individuale che garantisce solo sopravvivenza e accompagna lo scadimento del servizio.

Nella scuola dell’infanzia del dirigente bullo la dipartita di Marco ha lasciato un posto vuoto nella classe dell’urlatrice, così rigorosa e intoccabile:

“Pronto, parlo con la mamma di Luana? Ci sarebbe un posto per la sua bambina che è iscritta nella nostra lista d’attesa. Venga, concordiamo l’inserimento”. La giostra riparte, nuova carne arriva a nutrire la scuola che affonda.

Purtroppo questa non è una storia di fantasia. I nomi e le situazioni sono stati modificati per evitare che il bimbo e la sua famiglia fossero riconoscibili. Di tutto quanto ho scritto possiedo documentazione di riscontro.

Mariano Turigliatto 

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