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Di corsa col rifugiato al Porporati: una singolare proposta di accoglienza

Sabato e domenica (18 e 19 ottobre), nelle chiese della nostra Unità Pastorale, sono stati distribuiti dei volantini per invitare gli interessati ad un'assemblea delle parrocchie che serviva a raccogliere idee su come poter accogliere e integrare i rifugiati, che in questi ultimi tempi, arrivano da molti paesi e sono in gravi difficoltà. L'iniziativa fa parte di un progetto diocesano per l'accoglienza dei rifugiati, come se ne sono avviati anche in molte altre diocesi italiane.
Sul retro del volantino, giusto per dare un'idea a chi lo avrebbe letto, c'erano alcuni spunti ed idee che potevano suggerire come poter essere vicini ed aiutare queste persone a integrarsi meglio nel nostro tessuto sociale. Tutti spunti interessanti, tranne uno. Quando l'ho letto, non capivo se fosse uno scherzo oppure un eccesso di ignoranza: l'idea “lampante” (perché le righe, erano decorate da disegni di lampadine, come un fumetto) diceva: “se solo ci fosse qualcuno per fare jogging insieme...”.
Quando l'ho letto mi sono cadute le braccia! Ed ancora adesso, quando ci penso ho i polsi che mi strusciano a terra, tutti spellati!! Subito mi sono domandata chi fosse l'autore del testo del volantino, perché immaginavo fosse qualcuno che non sapeva o non si rendeva bene conto di cosa parlasse...
Mi sono chiesta, se qualcuno - partito a piedi dalla Siria, per salvare la propria vita e magari quella dei suoi figli, attraversata la Turchia (a piedi!) e il mar Egeo su di un canotto, sgambettato per oltre mille chilometri nei Balcani - una volta arrivato qui, avesse come necessità principale, quella di venire a fare jogging con me al Parco Porporati... Ovviamente la risposta è stata: no!
Allora mi sono domandata se qualcuno che parte dal Sud Sudan, visto lo stato di instabilità del paese o dalla Nigeria per fuggire dalla guerriglia di gruppi terroristici, come Boko Haram, dopo essersi attraversata mezza Africa (a piedi o giù di lì) e finito tra le mani di mercanti di esseri umani, in qualche modo finalmente arrivato in Libia e stipato su barconi che forse galleggiano per abbastanza tempo per arrivare sulle nostre coste, ha questa come priorità principale. Fare jogging con me al Porporati? Forse no!! Per questo ho domandato al mio parroco se sapeva chi fosse l'autore di questo pensiero (o meglio del testo del volantino), ma lui non lo sapeva.
Mi piacerebbe domandare a chi ha avuto questa idea (certamente in buona fede), se è mai stato all'Ufficio Stranieri della Questura di Torino e se sa quale sia davvero la procedura per richiedere un semplice permesso di soggiorno, anche solo per motivi di studio.
Mi piacerebbe capire se sa che, se non si è cittadini di un paese dell'area Schengen, si è obbligati a fare il permesso di soggiorno, nel caso si debba soggiornare qui per più di tre mesi. E che, se si deve risiedere qui, è necessario farsi prendere le impronte digitali, dalla Polizia Scientifica... In pratica: se ti fermi per tre soli mesi sei un turista, sopra i tre mesi sei automaticamente un delinquente e devi essere schedato!
Qualche settimana fa, mi sono trovata ad accompagnare un medico, proveniente dalla Giordania, che sta facendo un corso di specializzazione presso la nostra Università e si fermerà qui per 3 mesi e mezzo. Ho visto quanta carta inutile ha dovuto fare e come è stato trattato negli uffici della Questura (come tutti gli stranieri!), sinceramente mi sono vergognata di essere italiana in quei momenti.
Se per un permesso di soggiorno per studio ci abbiamo impiegato quasi un mese, immagino la burocrazia per avere lo status di rifugiato per motivi umanitari o politici... Un rifugiato non ha certo per sua prima necessità, quella di trovare qualcuno per farsi una corsetta al parco! Magari qualcuno che parla la sua lingua e che lo accompagni per l'infinito peregrinare tra un ufficio e l'altro, gli spieghi perché, se la Questura mi da un appuntamento in un certo giorno, ad una certa ora, poi mi fa aspettare 4 ore per una formalità che necessita solo di 10 minuti!
Forse basterebbe, per far sentire meno "stranieri" chi viene da lontano, pensare di trattarli come vorremmo essere trattati noi al loro posto. Come cantava Giorgio Gaber: “io non mi sento italiano, ma per fortuna o purtroppo lo sono!” Almeno non devo fare 4 ore di coda per farmi schedare dalla scientifica della polizia.

Manuela Mariuzzo