La politica ai tempi dei "migliori": lo specchio di un paese incompleto. di P. Sarli
Non mi sono mai occupato attivamente di politica. Ho dai tempi del liceo una mia particolare visione politica, che inevitabilmente, nel corso degli anni, si è naturalmente modificata per adattarsi ai tempi moderni. Ma gli ideali sono sempre gli stessi.
Negli ultimi 40 anni ho visto, come la maggior parte degli italiani, tutto il bello (poco) e il brutto (parecchio) della politica nazionale. Ma mai ho vissuto un periodo così politicamente angosciante come quello attuale. Oggi assisto ogni giorno a decisioni politiche che mi lasciano perplesso. E comincio a farmi delle domande.
Dopo 2 anni di pandemia che ha evidenziato i limiti di molte strutture pubbliche (sanità in primis), in cui molti italiani continuano a impoverirsi nell'indifferenza generale e le fasce più deboli sono sempre più a rischio, sento parlare di investimenti per il riarmo anziché di politiche sociali.
Ma l’Italia non è un Paese “fondato sul lavoro” e che “ripudia la guerra”? In un momento storico in cui i giovani (laureati e non) fuggono all’estero per trovare un lavoro pagato dignitosamente e avere una prospettiva di futuro, in cui molti 60enni si ritrovano disoccupati e senza pensione (magari dopo quasi 40 anni di lavoro e imprecando per non essere nati 10 anni prima), in cui moltissimi anziani hanno bisogno di assistenza e mancano le risorse... ecco, in questo momento, come si può parlare di investire denaro pubblico per armamenti? Non sarebbe forse il caso di concentrarsi sui problemi reali del Paese e dei suoi cittadini? Non sarebbe questo il dovere più nobile della politica?
Con questi presupposti come ci si può meravigliare del fatto che la popolazione italiana è sempre più vecchia perché i nostri giovani non fanno più figli? Possiamo biasimarli? Tuttavia, nonostante le parole accorate di papa Francesco ci ricordino costantemente questi problemi, a dispetto degli applausi di tutti si continua ad andare nella direzione opposta. Il nostro Paese ha tanti tristi primati in Europa: le autostrade più care (che dovrebbero essere lastricate d’oro e invece crollano), le assicurazioni più care, la benzina più cara (su cui gravano tasse e accise che si perdono nella notte dei tempi).
E in questo scenario da grande Paese occidentale democratico gli stipendi medi degli operai sono tra i più bassi d’Europa e invariati dagli anni '90, mentre quelli di alcuni dirigenti (pubblici e non) sono, paradossalmente, tra i più alti. Anomalie tutte italiane che dimostrano quanto siamo ancora molto lontani dalla concezione di popolo appartenente a un'unica Nazione. Il povero Massimo D'Azeglio si rivolterebbe nella tomba se sapesse che, dopo oltre 160 anni dall'Unità d'Italia, gli italiani ancora non sono stati “fatti”.
Ciò nonostante ci piace definirci “membri e padri fondatori della comunità europea” e confrontarci, senza vergogna, con democrazie più evolute della nostra che hanno saputo affrontare e risolvere problematiche sociali relative al mondo del lavoro, di un salario minimo dignitoso, delle pensioni e dell'assistenza agli anziani. Nel frattempo noi siamo ancora in fiduciosa attesa che si avveri la
profezia di un nostro grande statista ed economista: lavorare un giorno in meno a settimana guadagnando come se lavorassimo un giorno in più...
E' ora di sfatare il mito degli italiani “brava gente”: non lo siamo e forse non lo siamo mai stati, a cominciare dalla nostra classe politica. Individualisti, opportunisti, ecco cosa siamo. Peculiarità italiche frutto di oltre 1000 anni di dominazioni straniere.
Come può un Parlamento, in cui è diventato normale cambiare casacca con la stessa frequenza con cui ci si cambia la biancheria intima, essere credibile agli occhi dei cittadini che dovrebbe rappresentare?
Come si può parlare di pace e di democrazia, di oppressi e di oppressori, di aggrediti e di aggressori quando, a casa nostra, non siamo in grado di garantire diritti fondamentali come lavoro, istruzione, sanità, uguaglianza sociale e dignità? Non è per questi valori che i nostri nonni hanno combattuto (anche a costo della vita) per liberarci dal nazifascismo e permettere alle generazioni future un’esistenza libera e dignitosa? Come si può continuare a parlare, anacronisticamente e ipocritamente, di schieramenti di “destra” e di “sinistra” in un Paese in cui l'obbiettivo primario della politica, tutta,
sembra essere sempre più la tutela di interessi particolari?
Amministrare la Repubblica (res publica = patrimonio pubblico) significa esattamente il contrario, ma forse lo abbiamo dimenticato. Come si può, in tutto questo, non vedere la totale assenza di coerenza tra il dire e il fare?
Il filosofo Giambattista Vico sosteneva che la storia si ripete sempre. E la storia dovrebbe averci insegnato che esasperare le differenze sociali e umiliare i più deboli non ha mai portato nulla di buono.
Il governo dei “migliori” non è una novità assoluta. Già Platone (che non amava la democrazia) quasi 2500 anni fa sosteneva che a capo del governo ideale dovessero esserci “i migliori”.
L’unica, piccola, differenza è che per lui “i migliori” fossero i filosofi, cioè i sapienti. Gli unici dotati di spirito critico ed eticamente in grado di discernere il bene dal male e ciò che è giusto da ciò che non lo è.
E io, oggi, filosofi non ne vedo.
Paolo Sarli
Dopo 2 anni di pandemia che ha evidenziato i limiti di molte strutture pubbliche (sanità in primis), in cui molti italiani continuano a impoverirsi nell'indifferenza generale e le fasce più deboli sono sempre più a rischio, sento parlare di investimenti per il riarmo anziché di politiche sociali.
Ma l’Italia non è un Paese “fondato sul lavoro” e che “ripudia la guerra”? In un momento storico in cui i giovani (laureati e non) fuggono all’estero per trovare un lavoro pagato dignitosamente e avere una prospettiva di futuro, in cui molti 60enni si ritrovano disoccupati e senza pensione (magari dopo quasi 40 anni di lavoro e imprecando per non essere nati 10 anni prima), in cui moltissimi anziani hanno bisogno di assistenza e mancano le risorse... ecco, in questo momento, come si può parlare di investire denaro pubblico per armamenti? Non sarebbe forse il caso di concentrarsi sui problemi reali del Paese e dei suoi cittadini? Non sarebbe questo il dovere più nobile della politica?
Con questi presupposti come ci si può meravigliare del fatto che la popolazione italiana è sempre più vecchia perché i nostri giovani non fanno più figli? Possiamo biasimarli? Tuttavia, nonostante le parole accorate di papa Francesco ci ricordino costantemente questi problemi, a dispetto degli applausi di tutti si continua ad andare nella direzione opposta. Il nostro Paese ha tanti tristi primati in Europa: le autostrade più care (che dovrebbero essere lastricate d’oro e invece crollano), le assicurazioni più care, la benzina più cara (su cui gravano tasse e accise che si perdono nella notte dei tempi).
E in questo scenario da grande Paese occidentale democratico gli stipendi medi degli operai sono tra i più bassi d’Europa e invariati dagli anni '90, mentre quelli di alcuni dirigenti (pubblici e non) sono, paradossalmente, tra i più alti. Anomalie tutte italiane che dimostrano quanto siamo ancora molto lontani dalla concezione di popolo appartenente a un'unica Nazione. Il povero Massimo D'Azeglio si rivolterebbe nella tomba se sapesse che, dopo oltre 160 anni dall'Unità d'Italia, gli italiani ancora non sono stati “fatti”.
Ciò nonostante ci piace definirci “membri e padri fondatori della comunità europea” e confrontarci, senza vergogna, con democrazie più evolute della nostra che hanno saputo affrontare e risolvere problematiche sociali relative al mondo del lavoro, di un salario minimo dignitoso, delle pensioni e dell'assistenza agli anziani. Nel frattempo noi siamo ancora in fiduciosa attesa che si avveri la
profezia di un nostro grande statista ed economista: lavorare un giorno in meno a settimana guadagnando come se lavorassimo un giorno in più...
E' ora di sfatare il mito degli italiani “brava gente”: non lo siamo e forse non lo siamo mai stati, a cominciare dalla nostra classe politica. Individualisti, opportunisti, ecco cosa siamo. Peculiarità italiche frutto di oltre 1000 anni di dominazioni straniere.
Come può un Parlamento, in cui è diventato normale cambiare casacca con la stessa frequenza con cui ci si cambia la biancheria intima, essere credibile agli occhi dei cittadini che dovrebbe rappresentare?
Come si può parlare di pace e di democrazia, di oppressi e di oppressori, di aggrediti e di aggressori quando, a casa nostra, non siamo in grado di garantire diritti fondamentali come lavoro, istruzione, sanità, uguaglianza sociale e dignità? Non è per questi valori che i nostri nonni hanno combattuto (anche a costo della vita) per liberarci dal nazifascismo e permettere alle generazioni future un’esistenza libera e dignitosa? Come si può continuare a parlare, anacronisticamente e ipocritamente, di schieramenti di “destra” e di “sinistra” in un Paese in cui l'obbiettivo primario della politica, tutta,
sembra essere sempre più la tutela di interessi particolari?
Amministrare la Repubblica (res publica = patrimonio pubblico) significa esattamente il contrario, ma forse lo abbiamo dimenticato. Come si può, in tutto questo, non vedere la totale assenza di coerenza tra il dire e il fare?
Il filosofo Giambattista Vico sosteneva che la storia si ripete sempre. E la storia dovrebbe averci insegnato che esasperare le differenze sociali e umiliare i più deboli non ha mai portato nulla di buono.
Il governo dei “migliori” non è una novità assoluta. Già Platone (che non amava la democrazia) quasi 2500 anni fa sosteneva che a capo del governo ideale dovessero esserci “i migliori”.
L’unica, piccola, differenza è che per lui “i migliori” fossero i filosofi, cioè i sapienti. Gli unici dotati di spirito critico ed eticamente in grado di discernere il bene dal male e ciò che è giusto da ciò che non lo è.
E io, oggi, filosofi non ne vedo.
Paolo Sarli
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