Cibo e suolo, che c'entrano con la nostra città?
Tempo fa un bravo veterinario che si occupava dalla salute dei piemontesi, Mario Valpreda, mi disse: “Il cibo è un piacere che accompagna l’uomo dalla nascita fino alla morte. Forse l’unico”. Io, nel tentativo di fare bella figura, affermai: “Per produrre cibo sano e buono occorre terra fertile e non contaminata”. Sono passati tanti anni, il veterinario ci ha lasciati e quel dialogo è solo un ricordo, nel frattempo in Italia sono scomparsi oltre 3.000.000 di ettari di superficie agricola. Una superficie pari a quella del Lazio e Abruzzo messe insieme. Ogni giorno viene consumata un’distesa di territorio equivalente a quella occupata da 150 campi di calcio.
Nell’anno dell’Expo, il Belpaese realizza una produzione agricola alimentare utile a nutrire metà della nostra popolazione. Senza le importazioni il 50% degli italiani sarebbe a rischio fame. La trasformazione continua di suolo agricolo e naturale in suolo urbano è la principale causa di questo sbilancio.
Se consideriamo che quasi un sesto delle unità abitative risultano sfitte o seconde case, tanti insediamenti industriali sono deserti ed i centri commerciali ci stanno circondando, appare evidente l’interesse collettivo a fermare la cementificazione del territorio e contenere questo spreco di suolo.
Spesso questo interesse collettivo è ignorato dai Comuni, che attraverso i Piani regolatori e le successive varianti rendono edificabili vaste zone agricole al fine di utilizzare per la spesa corrente i proventi degli oneri di urbanizzazione. Questi oneri sono contributi che i costruttori versano al Comune per partecipare alle spese di urbanizzazione e i Comuni a tale scopo dovrebbero utilizzarli ma, complici le leggi finanziarie degli ultimi anni, queste entrate vengono usate dalle Amministrazioni per fare cassa e ripianare i debiti. Un tale meccanismo ha come effetto nuove costruzioni e con l’aumentare del debito arriva altro cemento.
Ora, ciascuno ha il proprio rapporto con il cibo: molti vivono per mangiare altri, più semplicemente, mangiano per vivere, comunque per tutti è necessario prendere coscienza che il suolo è un bene limitato, da salvaguardare, attraverso il quale otteniamo il cibo di cui abbiamo bisogno.
Per contribuire all’opera di salvaguardia del territorio possiamo, con uno strumento neanche troppo gravoso, scegliere, alle elezioni che verranno, una formazione politica impegnata sul tema. Naturalmente poi occorre verificarne l’impegno.
Per noi grugliaschesi sarà necessaria la massima attenzione per la difesa del territorio rimasto, sia esso agricolo, verde pubblico o per altro utilizzo. Occorrerà verificare che il consumo di suolo avvenga nella misura minima possibile e dopo aver verificato tutte le alternative praticabili. Perché favorire il recupero edilizio, i processi di riqualificazione delle aree dismesse e quelli di riattivazione delle aree urbane degradate in alternativa alle costruzioni ex novo sono scelte obbligate se vogliamo continuare a godere dei piaceri del cibo.
Per i concittadini che hanno un po’ di tempo libero può essere interessante approfondire una recentissima opera pubblica incompiuta che interessa Piazza Matteotti. Ammetto di non essere una cima in materia, però, la trincea, con relativo ponte tibetano, che divide la Piazza Matteotti alta da quella bassa, a me, pare tanto brutta. In previsione della creazione del posteggio sotterraneo nella parte bassa della piazza il sottopasso aveva comunque una funzione. Ora con la variante succitata la Giunta rinuncia alla realizzazioni dei parcheggi interrati e io mi domando questa trincea che senso ha?
Mauro Oddi