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I cavalieri di Vittorio Veneto... di Grugliasco


In queste ultime settimane si è iniziato a sentire parlare molto del centenario dell’inizio della “Grande Guerra”. La Prima Guerra Mondiale! La guerra del ’15/’18…

Croce e un poco meno delizia, degli studenti delle ultime generazioni, come tutte le guerre che ci tocca studiare a scuola, viste quante date e quanti nomi, si devono mandare a memoria.
Così aiutati da film di ricostruzione scenica (come “Uomini contro”) o materiale d’epoca dei primi cine operatori di guerra (come le immagini delle trincee piene dei cadaveri dei soldati gasati prima della grande disfatta di Caporetto), ci stanno riproponendo sui canali televisivi, in particolare RAI Storia, i momenti salienti di questo conflitto.
Rivedendo e riascoltando questi episodi, i ricordi non potevano non tornare a uno dei miei nonni: il Cavaliere Attilio Mariuzzo, classe 1898 che come molti giovani del suo tempo, è stato uno dei fanti delle trincee.
All’epoca lui era un giovane contadino che abitava in un paese della provincia di Venezia e come molti suoi coetanei, fu chiamato a difendere la Patria lungo la linea del Piave. Era il marzo 1917 e lui aveva appena compiuto 19 anni, quando fu arruolato come “fante zappatore”, per scavare le lunghe, quasi infinite trincee nella Brigata Parma, 49° Reggimento.
La sua fu una guerra di nervi, di attesa, male equipaggiati (e chi non lo era a quei tempi?) da quello che possiamo vedere nelle immagini d’epoca. E da quello che mi racconta uno dei miei cugini più grandi (appassionato di ricerche storiche sulla Grande Guerra), che con il nonno ha avuto più occasione di parlare, anche mal riforniti di viveri. Questo mio cugino, che si è appassionato molto alle vicende del nonno (visto che è stato anche prigioniero dei tedeschi) mi raccontava, che una volta il nonno gli raccontò che principalmente, in Germania in campo di prigionia (perché fu fatto prigioniero durante la disfatta di Caporetto), mangiavano patate e quando queste finivano, in attesa di viveri… Mangiavano le bucce delle patate.
Non ho capito come mai, nei racconti dei reduci delle varie guerre e battaglie, i nemici solitamente vengono raccontati sempre, meglio armati, meglio equipaggiati, meglio vestiti e meglio nutriti. Mistero! Forse è una forma psicologica di auto consolazione? Se poi andiamo a vedere la realtà, di solito non ci sono mai queste grandi differenze. Anche se dalle ricerche fatte presso la Croce Rossa Internazionale, la maggior parte degli italiani, prigionieri nei campi nemici, morirono di fame (salvo pochi), perché il Regno d’Italia, fu l’unica nazione che durante il conflitto, non si preoccupò di inviare viveri ai suoi uomini, attraverso i canali umanitari. Il numero di queste “vittime della patria”, ammonta a circa cento mila uomini!
Comunque, il nonno fu tra quelli che riuscì a tornare a casa per raccontare la sua guerra.
In realtà anche l’altro nonno fu arruolato nei bersaglieri per fare il suo dovere di giovane patriota, ma mi raccontò (lui era più giovane), che ebbe giusto il tempo di arrivare al fronte (da Cagliari dove abitava), firmarono l’armistizio, finì la guerra e tornò a casa. Un’esperienza di viaggio in nave e tradotta. Però (disse lui), in quel viaggio vide il mondo! E decise, che non aveva nessuna voglia di trascorrere la sua vita a fare il panettiere, con suo padre nel forno di famiglia. Così fece domanda di arruolamento nei Carabinieri Reali e si ritrovò in servizio in Piemonte, dove poi conobbe la nonna e mise su famiglia.
Anche il Cavaliere Attilio mise su famiglia a guerra finita e con i suoi fratelli diventarono mezzadri di una grande cascina. Quando i suoi figli (ben otto!) diventarono grandi, un poco per volta, quasi tutti si trasferirono a Torino, ed anche lui e la nonna li seguirono. Lasciando solo le due figlie maggiori al paese d’origine.

Dopo 50 anni dalla fine della Grande Guerra, l’Italia diventata ormai Repubblica, per “esprimere la gratitudine della Nazione”, a quanti avevano combattuto almeno sei mesi durante quella guerra e avessero conseguito la croce al merito di guerra, istituì l’Ordine di Vittorio Veneto.
Con la Legge n. 263 del 18 marzo 1968 (abrogata il 15 marzo 2010), veniva istituito un
“Riconoscimento in favore dei partecipanti alla guerra 1914-18 e alle guerre precedenti”. Se volete saperne di più sull’argomento, potete andare sul sito del Quirinale, dove si trovano tutte le informazioni sulle onorificenze dello stato: www.quirinale.it/qrnw/statistico/onorificenze/cennistorici/vittorioveneto.htm.
Interessante il fatto che questo titolo prevedesse anche un vitalizio, che poteva essere concesso anche a chi faceva parte dell’esercito nemico, ma poi per l’annessione dei nuovi territori all’Italia, diventarono cittadini italiani.
Il capo 5° della legge infatti cita:
“Agli insigniti dell’Ordine di Vittorio Veneto è concesso un assegno annuo vitalizio, non reversibile, di L. 60.000.
L’assegno decorre dal 1° gennaio 1968 ed è corrisposto, esente da ritenute erariali, in due rate semestrali pagabili il 30 giugno e il 20 dicembre.
Un’annualità dell’assegno vitalizio è corrisposta alla vedova o ai figli all’atto del decesso del titolare.
L’assegno è concesso anche ai combattenti della guerra 1914-18 nelle forze armate dell’ex esercito austro-ungarico divenuti cittadini italiani per annessione.
Alla liquidazione e al pagamento dell’assegno provvedono le direzioni provinciali del tesoro. Sono estese ai provvedimenti relativi le norme degli articoli 15 e 34 del D.P.R. 30 giugno 1955, n. 1544”.
Ho chiesto alle zie con le quali il nonno ha vissuto durante la sua vecchiaia, ma non ricordano più se percepisse il vitalizio e in quale forma. L’unica memoria è la croce di ferro ed il decreto del Ministero della Difesa che l’accompagnava, conservati gelosamente da mio cugino. Mi ha stato detto che il nonno non amava parlare di queste cose. E non mi stupisce, perché era una persona molto riservata.

La cosa che ho trovato un poco buffa leggendola, è che erano gli ex combattenti a dover fare la domanda allo Stato di avere riconosciuto il titolo di Cavaliere di Vittorio Veneto. Come se lo Stato, non sapesse chi aveva chiamato alle armi, per difendere la Patria. Bastava (se ho capito bene) un’autocertificazione! In realtà lo Stato conosceva bene chi era stato arruolato e tutti i loro spostamenti, visto che mio cugino, ha una copia del suo foglio matricolare, dove è chiarissimo il suo stato di servizio, che gli è stato rilasciato dall’Archivio di Stato.
Comunque sia, il nonno fece la domanda, anche se non saprei dirvi esattamente in quale anno e gli fu concesso il titolo di Cavaliere di Vittorio Veneto. Ma solo il 20/01/1971, è stato concesso il permesso a chi ne aveva i requisiti, di fregiarsi del titolo. Questo con un decreto del Ministero della Difesa, il cui numero d’ordine è il 33240. I tempi lunghi della burocrazia!!

Non so quanti di voi abbiano avuto nonni o padri o parenti, che hanno combattuto questa guerra e quanti di voi abbiano avuto l’occasione di fare una visita al Sacrario Militare di Redipuglia. Anni fa, ho fatto questo pellegrinaggio laico con i miei genitori, e vi assicuro che leggere i nomi di tutti quei caduti su quella collina immensa è impressionante! Sono stata anche a Roma in seguito e naturalmente ho visitato l’Altare della Patria, ma la suggestione emotiva che mi ha trasmesso la visita al Sacrario, non ha paragone: non saprei neppure spiegarvela. Era come se leggere ogni nome (689.000!) evocasse ognuno di loro e rispondere: “presente!” Proprio come citano le incisioni sulle pietre che lo compongono.
Se non ci siete mai stati o se siete degli insegnati e volete organizzare una gita per i vostri studenti, davvero emozionante e ricca di suggestioni per loro, portateli lì. È un’esperienza unica. Il Sacrario è stato inaugurato il 19 settembre 1938 e potete anche trovare il Museo della Grande Guerra di Redipuglia, che raccoglie tutto quanto riguarda le battaglie dell’Isonzo. L’ingresso è gratuito e se volete saperne di più potete andare nel sito www.itineraridellagrandeguerra.com e cercare nel sito il Sacrario Militare. Un sito molto interessante e ricco di immagini.

Il nonno ha lasciato anche una specie di memoriale, purtroppo incompleto, in cui racconta parte della sua guerra, la guerra di un ragazzo di neppure 20 anni. Ma questa è un’altra storia e forse un giorno ve la racconterò.

Manuela Mariuzzo