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Prezzemolino e la città perduta

Mancano pochi mesi alle elezioni e, nella più totale confusione e disgregazione del suo partito, Prezzemolino Montà ha cominciato la sua personale corsa alla rielezione.
Metà del suo partito non lo vuole più? Nessun problema: assistito da un baldo giovane, figlio d'arte, confeziona un documento e convoca una riunione carbonara con diversivo e si fa incoronare da 19 militanti insonnoliti e vogliosi di raggiungere casa. Già che c'è con gli stessi metodi fa anche nominare il suo predecessore e mentore, Mazzù, responsabile della campagna elettorale del partito e della sua eccelsa persona.  Finge di non sapere che Mazzù porta sfiga, illustri precedenti stanno a dimostrarlo... ma che volete? Montà è più forte della sfiga e non si occupa di queste superstizioni da donnicciola.
Mazzù - i sui estimatori lo chiamano grande puffo per quel suo vezzo si assumere un'aria pensosa prima di sparare scemenze alle quali neanche lui crede: "amo Grugliasco", "svolgo un compito rischioso, ma utilissimo alla società" e mille altre minchiate in questo stile - comincia il suo lavoro (si fa per dire) e scopre che Montà non lo vuole proprio nessuno. Per come ha trattato e tratta tutti, per l'immobilismo in cui ha gettato la città, per le persone di cui si circonda, perché non ha pagato la spazzatura per cinque anni, perché usa la società Le Serre come suo bancomat personale.... e per tante altre ragioni ancora. Allora che ti fa? Dato che la lealtà non sa cosa sia, comincia a lavorare per eliminarlo dalla scena politica e candidare qualcun altro al suo posto.
Così Montà, che chiacchiera molto e fa poco, ma sa fare attenzione alle meschinate e alle piccineria (attività nella quale eccelle anche lui), scavalca quello che aveva voluto come responsabile della campagna elettorale e comincia a lavorare per sè in prima persona. Naturalmente con esiti al momento catastrofici: perfino quelli che, in cambio di un pugno di lenticchie, erano disponibili a sostenerlo, adesso vacillano.
Il tempo stringe,  Montà avverte sinistri scricchiolii e decide perciò di lanciarsi lo stesso nella sua personale campagna elettorale a spese dei contribuenti. Inaugurazioni a gogò, dall'aiuola, al giardinetto spelacchiato, all'ex cesso dei cani al parco rinato a nuova vita, piste ciclabili già usurate dal tempo e dall'incuria, pali della luce, targhe e tante, tante lettere pagate dal Comune a chicchessia in questa città. Montà è dovunque, appare come la Madonna,  - solo che lui è circondato dai suoi schierani, lei dalle pie donne - e, a volte, lo si vede persino in contemporanea in vari angoli della città. Una vera ossessione, infestante e onnipresente come il prezzemolo.
In ogni foto che i grugliaschesi fanno all'aperto compare lui, a volte solo in sottofondo, si narra che stia proponendo ai bar di collocare la sua effigie sul fondo delle tazzine, così che, a caffè bevuto, i suoi concittadini lo possano ammirare in tutto il suo splendore. Si mormora che stia attrezzando lo staff per entrare anche nelle case e non è lontano il momento in cui parteciperà da terzo incomodo alle effusioni fra i suoi potenziali elettori. Nessun pudore, nessuna paura di apparire patetico, prosegue indomito e indefesso. Infestante come il prezzemolo e altrettanto tossico se assunto in grandi dosi.
Sempre presente in tutto il suo splendore e con quel ghigno che indossa di solito. Quando non è arrabbiato con le orecchie tutte rosse per l'agitazione,  lo fa assomigliare al sorriso di un gatto che ha appena mangiato il topo. Da rivotare...
Mariano Turigliatto

PS. L'immagine del ghigno di Montà come quello del gatto l'ho presa a prestito da carlo Proietti: diamo a Cesare quel che è di Cesare!